In questi momenti ci sono due pericoli: il primo è l'emozione e il secondo è la retorica. Col primo mi devo arrangiare io e col secondo mi hai aiutato tu, Mirella, con la consegna del silenzio. Voglio togliere più parole possibile: anche per questo vi dico subito che al momento delle preghiere faremo solo quelle dell'orazionale e poi seguirà il silenzio, perché ognuno preghi nel segreto, e il Padre, che vede nel segreto, vi ricompenserà.
Voglio partire da una parola che corre subito il rischio di essere retorica: la parola grande. La voglio far precedere da altre parole e sarete voi a dirmi se è retorica o se è vita .
Se per esempio dico di Manlio che ha avuto una grande disponibilità, non penso che qui dentro ci sia qualcuno che abbia qualcosa da obiettare. Faccio fatica a ricordare un no di Manlio. Manlio ha detto sempre sì, anche nelle situazioni più difficili.
Oppure potrei dire, a proposito di Manlio, che aveva una grande competenza. Non è un mistero che Manlio ha seguito l'amministrazione delle nostre comunità e penso non ci potesse essere una persona più affidabile di lui.
Non so se qualcuno ha qualcosa da obiettare se dico che Manlio ha avuto una grande capacità di mediazione, mettendo insieme le persone più diverse, le situazioni più diverse.
O se qualcuno ha qualcosa da obiettare se dico che Manlio ha avuto una grande adattabilità. L'ho visto parlare col più povero e il più ricco e non l'ho mai colto in difficoltà o in imbarazzo.
O se qualcuno ha qualcosa da obiettare se dico che era un uomo di grande umiltà. Si è messo sempre un gradino più sotto di chiunque, anche di quelli che, Dio mi perdoni, non lo meritavano, faceva sì che ti sentissi importante, chiunque fossi.
Una grande riservatezza, una grande discrezione, Manlio ha fatto un lavoro enorme, e nello stesso tempo oscuro e invisibile. Era sempre in seconda fila, mentre quelli che stavano in prima prendevano gli elogi e le medaglie.
In genere, quando pensiamo a una persona, ci vengono in mente episodi caratteristici, che si ricordano con curiosità. Faccio fatica a portare alla memoria qualche episodio di questo genere con Manlio, talmente era discreto. Mi ricordo un ballo con Anna Maria, per esempio, e un ballo con Giggi quando i ragazzi facevano chiasso nel ritiro e loro, con quella performance sono riusciti a scatenare l'applauso e a calmare la brigata. Ma sono episodi rari, perché Manlio è stato sempre dietro, nascosto.
Ecco, Mirella, tu mi hai detto: ho il cuore strappato. Hai sentito una mano che ti portava via una parte di te stessa. Noi siamo qui per Manlio, ma anche per te, per tentare di ricucire questo strappo, perché tu senta la nostra amicizia, la nostra vicinanza. Il cuore strappato tuo, ma anche dei tuoi figli. Mi hai confidato l'altro giorno una cosa che mi ha colpito molto: Manlio ti ha insegnato la priorità dei figli, quando tu desideravi una tua autonomia, volevi lavorare e lui lavorava il doppio, il triplo, perché la mamma potesse stare con loro. Questi sono i suoi insegnamenti, per questo siete qui così uniti, compatti nell'amore. Quando avevi paura che non ce l'avreste fatta a mantenere una famiglia tanto numerosa, lui diceva sempre: ce la faremo, non ti preoccupare.
C'è una parola retorica per eccellenza, eroismo. Ma avendo visto Manlio venire con le gambe fasciate e il fiato spezzato per finire il suo lavoro, per onorare i suoi impegni, non so quale altro termine si potrebbe usare. Qualcuno ha detto che abbiamo due santi in paradiso: il nome dell'altro non lo faccio.
Manlio aveva tante virtù nascoste. Era il depositario di tutta la documentazione fotografica, lo chiamavo sierodiapositivo. La catalogazione quasi ossessiva mi fa pensare che Manlio avesse una urgente esigenza di ordine: noi lo abbiamo sempre visto sereno e affabile, cordiale e premuroso, ma dentro aveva anche le tempeste, e doveva gestirle con fatica, c'era la luce e il buio. Quella di Manlio non era una gentilezza facile.
Qualcuno ha detto: non ho mai visto Manlio arrabbiato. Attenti, Manlio inseguiva un difficile equilibrio, da raggiungere con una lotta quotidiana. Credo, Mirella, che Manlio abbia capito che le intemperanze dell'io potevano essere risolte solo con la spiritualità e l'altruismo. Ha fatto passi da gigante in questo suo cammino. E'diventato un maestro, un grande educatore. Qui ci sono tanti giovani che hanno conosciuto il suo carisma e il suo carisma si è raffinato in una lotta incessante.
La grandezza di Manlio è anche la grandezza delle cofane di pasta: mangiava tanto e misteriosamente non ingrassava mai. La malattia ha cominciato a preoccuparmi quando mi sono accorto che era inappetente, perché lui apprezzava i piaceri della vita, la gioia, con quella sua risata contagiosa, ereditaria (tutti voi ridete nello stesso modo). La gioia di vivere.
Manlio era questo, viveva la gamma intera delle emozioni umane, non era mai banale. Quando scherziamo, diciamo anche delle banalità, lui persino nello scherzo aveva aveva le sue sfumature, aveva un'acutezza sottile e una sua profondità. Ha avuto una vita molto più intensa di tanti altri; ha visto colori più vivaci e questo è un paradosso: lui così discreto, così invisibile per certi aspetti, che pure dentro aveva una vita così intensa; Manlio si può capire solo guardando fino in fondo questo paradosso.
Detto questo, non ho detto niente, perché tutti conosciamo Manlio in questo modo. Volevo dire altro, in verità.
Noi tutti conosciamo le sette parole di Cristo sulla croce. Non vorrei essere blasfemo, ma ci tengo a riportare le sette parole di Manlio sul suo letto di morte. Pregavo con lui, anche brevemente, e gli chiedevo: Manlio, cosa vuoi che chiediamo? Come ti senti? La prima volta mi ha risposto: larghi sentieri. E cosa vuole dire, larghi sentieri? Nella vita, dobbiamo passare per tante porte strette, come insegnò Gesù.
Potrei fare tanti esempi di porte strette, per Manlio: è stato, per esempio, il braccio destro di don Mario, con il quale ha condiviso la storia del Centro giovanile Madonna di Loreto con le continue strettoie, che tutti conosciamo. Uno che è passato attraverso tante porte strette che cosa sogna in punto di morte? Semplice: sogna larghi sentieri .
La seconda, più che una parola è un sorriso, un cenno di consenso quando gli ho riferito della preghiera in chiesa, a cui hanno partecipato gli amici del Centro giovanile, di San Timoteo e di San Carlo: è stato felice, perché lui aveva un grande sogno di unità.
Dico sempre che non bisogna solo piangere chi è morto. Piangere sì: non sopporto la preghiera che spesso si legge ai funerali: non piangere. Lasciami almeno questo! Però non basta, bisogna raccogliere l'eredità di chi ci lascia. Penso che l'eredità di Manlio sia soprattutto questo sogno di unità, per cui siamo chiamati a svilupparlo. Il fatto che siamo qui, tutti noi insieme, è un primo passo per realizzare quella meta.
La terza parola: come ti senti Manlio? Lui mi ha risposto: facciamo sempre troppo poco. Chi si avvicina alla luce capisce che la distanza è enorme. Abbiamo letto ieri nel vangelo la parola scandalosa: quando avete fatto tutto quello che dovete fare, dite: siamo servi inutili. Facciamo sempre troppo poco rispetto a un cammino cosmico, a un'evoluzione di tutto l'universo dal disordine all'ordine, per cui scopriamo un senso solo se collaboriamo con amore a questa grande opera.
Gli ho chiesto: Manlio, come ti senti? Mi ha risposto: sono sereno. Abbiamo tanti obiettivi nella vita, inseguiamo tanti risultati, ma ditemi se c'è qualcosa di più grande di questo; arrivare in punto di morte e poter dire: sono sereno. Dobbiamo metterci alla scuola di Manlio per capire come ha fatto, quanto e come bisogna camminare per arrivare in punto di morte e poter dire: sono sereno.
Gli ho detto: Manlio, come ti senti? Lui mi ha risposto: sto lavorando. Era immobile, nel letto di morte: che lavoro si può fare, sul letto di morte? Penso che non dobbiamo mai dimenticare, in mezzo alla farsa del new age, delle scorciatoie di uno spiritualismo per falliti, che dobbiamo lavorare su noi stessi con fatica, giorno dopo giorno. La fede è un impegno, un duro lavoro, perché il nostro io, con i suoi lacci, è sempre in agguato. Sto lavorando. Il mito della spontaneità: ma quando mai? E' un duro lavoro duro, altro che storie.
Che vogliamo chiedere, Manlio? Quello che manca, mi ha risposto e tu, Mirella, qui ti sei arrabbiata. Ma cosa può mancare ancora? Penso che questo sia un insegnamento decisivo: il nostro lavoro non basta, non ci salva, ci vuole qualcos'altro. Che ci vuole?
C'è una scena che non dimenticherò tanto facilmente. L'ultima volta che Manlio è andato a messa, alla fine del rito ha voluto raggiungere la cappella della Madonna, dove don Mario ha fatto collocare un telo con il testo del Magnificat. E' stato l'ultimo gesto pubblico di Manlio: pregare insieme il Magnificat, perché l'ultima parola, la settima, non possiamo dirla noi. Non poteva dirla lui. L'ultima è la parola della Grazia, che ci fa dire: l'anima mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta in Dio mio salvatore.
Credo che in mezzo a tante parole inutili, l'unica parola utile sia questa. Per questo vi chiedo di concludere con la preghiera di Manlio, il testamento che lui, quel giorno, ci ha lasciato: L'anima mia magnifica il Signore.
don Fabrizio Centofanti
Responsabile del Centro di formazione Giovanile "Madonna di Loreto - Casa della Pace"
(via di Macchia Saponara, 106 - 00125 Madonnetta)
e parroco di San Carlo da Sezze
(via di Macchia Saponara, 108)
La famiglia De Cristofaro ringrazia caldamente l'ambasciatore M. Oemar della Repubblica Indonesiana e il suo staff per la discreta presenza e partecipazione alle esequie di Manlio. Ringrazia inoltre tutti coloro che hanno voluto farsi vicini al suo dolore.
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