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mercoledì 1 aprile 2009

Perché sono contrario al Ponte sullo Stretto

dell'Ing. Paolo Ercolani


Qualche settimana fa, allorché la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina assunse l’aspetto di “Volano per l’Economia”, proclamai palesemente la contrarietà a quel progetto e sollevai molti vespai.

Desidero qui precisare che non sono affatto contrario alla realizzazione di un collegamento tra la Sicilia ed il cosiddetto “Continente”. Sono invece sempre stato e continuerò ad essere contrario alla realizzazione di un ponte, soprattutto ad un ponte sospeso a campata unica di 3 Km di luce.

Per esplicitare le perplessità e le convinzioni di cui sono portatore non userò parole mie, troppo modeste, ma quelle dello studio sulle «prime indicazioni per un rapporto di fattibilità» redatto già nel lontano 1980 dal «Gruppo di studio Ponte Sommerso» sulla base dell’idea progettuale di Cestelli Guidi – Finsterwalder – Zorzi.

Recita quel documento:

Per quel che riguarda la soluzione del ponte ad unica luce, si rileva anzitutto che il “salto di qualità” rispetto ai più grandi e moderni ponti sospesi del mondo appare eccessivo: esso va commisurato non già al rapporto lineare (da uno a più di due) rispetto ai più grandi ponti eseguiti, ma ad un rapporto esponenziale, con l’intervento per di più di cospicui coefficienti di incremento dovuti alla presenza del traffico ferroviario, alla spinta del vento su una tratta libera abnorme, ai provvedimenti di cautela in previsione dell’evento sismico.

Tale salto di qualità può essere valutato solo vagamente nel rapporto da uno a dieci. Per quanto ha attinenza in particolare al sisma, le torri di sospensione dei cavi, necessariamente alte quasi 400 m, sembrano strutture eccessivamente vulnerabili in una zona dell’Italia dove avvenne un terremoto che rase al suolo due intere città. Il costo dell’opera, certamente elevatissimo, non potrebbe essere valutato a priori, mancando ogni esperienza al riguardo.

Le deformazioni sul piano verticale al passaggio dei normali convogli ferroviari e quelle sul piano orizzontale in occasione di vento a velocità ancora moderata, risultano molto elevate (ordine di grandezza di alcuni metri) e perciò male sono compatibili con la marcia dei treni e la sicurezza del traffico viario; sarebbero quindi da prevedersi eventi che rendono, sia pur momentaneamente, inagibile il ponte e quindi dovrebbe sempre essere tenuto pronto un efficiente servizio alternativo di traghetto per far fronte ad un funzionamento intermittente dell’opera di attraversamento.

Le stesse variazioni termiche, ad ampia escursione in una struttura metallica esposta a sole, pioggia e vento, determinerebbero alterazioni notevoli di livelletta nell’impalcato.

L’ubicazione del ponte è necessariamente legata alla minima distanza tra le sponde, per cui ogni considerazione di carattere urbanistico decade a fattore subordinato; in aggiunta le ampie rampe di accesso, per guadagnare la quota dell’impalcato, certamente non inferiore a 70 m sul livello marino, verrebbero a sconvolgere l’assetto geotopografico delle sponde con ulteriori complicanze sulla conurbazione. Il ponte con i suoi mastodontici accessi altererebbe prepotentemente l’immagine paesaggistica dello stretto oltre a richiedere un complesso strutturale aggiunto di grande costo.

Ragionevoli critiche possono farsi anche alle numerose altre soluzioni proposte:

- un ponte, sospeso o strallato a più campate, necessariamente procura, con le pile intermedie, ostacoli alla navigazione nello stretto (già pericolosa, oltre che per l’entità del traffico, anche per la presenza di forti venti e correnti marine, rapidamente e frequentemente mutevoli di direzione) e permane identico l’inconveniente di dover accedere al ponte con macroscopiche rampe sopraelevate;

- una o più gallerie sub-alvee, dovendo raggiungere profondità dell’ordine di 200 m, aggravano in misura determinante il problema degli accessi; inoltre sussiste il grave rischio di rotture del terreno per dislocamenti profondi di faglia in caso di sisma, con eventuali conseguenze sulla galleria;

- un tunnel sottomarino poggiato su diga in “rockfill” immersa necessita l’apporto di quantità enormi di materiale; inoltre riduce violentemente la sezione libera dello stretto, con aumento di correnti e turbolenze marine;

- una condotta sommersa a mezz’acqua, più leggera del liquido spostato, e perciò ancorata al fondo mediante tiranti, pare struttura instabile e poco durabile per la vulnerabilità dei tiranti e la aleatorietà del loro ancoraggio al fondo.
Inversamente una condotta sommersa a mezz’acqua, più pesante del volume del liquido spostato, e perciò sorretta da isole galleggianti, offre il fianco ad una doppia criticità: la necessità di stabilizzare le isole mediante tiranti e l’ostacolo alla navigazione costituito dalle isole stesse.

Ciò premesso, si espone in alternativa una proposta di soluzione che riprende il tema della condotta sommersa a mezz’acqua; la quale offre l’inestimabile vantaggio di risolvere nel modo migliore il problema degli accessi, che possono essere collocati pressoché al livello dell’attuale viabilità.
L’attraversamento, inoltre, non avrebbe un’ubicazione necessariamente obbligata, ma potrebbe essere spostato, con un certo grado di libertà, in situazione più favorevole alla topografia urbanistica.

Già nell’anno 1971 il Dr. Ulrich Finsterwalder ipotizzava la possibilità di realizzare l’attraversamento dello stretto di Messina mediante una condotta sommersa a mezz’acqua, a peso bilanciato (pari al volume del liquido spostato) di 3000 m di lunghezza, vincolata solo agli estremi sulle sponde.
Il profilo longitudinale della condotta si sviluppava su un arco di cerchio di 30.000 m di raggio, profondo oltre 30 m in corrispondenza della mezzeria dello Stretto, emergente dall’acqua in corrispondenza delle sue sponde.
La struttura tubolare, atta al transito veicolare e ferroviario, era prevista di robustezza tale da poter sopperire, con funzionamento a trave vincolata agli estremi, ai carichi accidentali ed alle spinte delle correnti marine.
Il Dr. Finsterwalder individuava, in una speciale struttura a guscio in acciaio-calcestruzzo, la forma e le dimensioni sufficienti a far fronte ai due ordini di sollecitazioni. Camere di compensazione a zavorra d’acqua avrebbero dovuto sopperire alle variazioni di peso proprio connesse soprattutto a depositi di alghe o incrostazioni marine sull’estradosso della calotta.

L’idea della travata in equilibrio di peso era affascinante.
Tale soluzione, sulla base di tante ulteriori conoscenze acquisite e di un più realistico ripensamento della proposta iniziale del Dr. Finsterwalder, meritava di essere ripresa e sviluppata.

In effetti, se pur staticamente possibile, la travata in equilibrio su 3000 m di luce è soggetta, sotto i carichi accidentali o la spinta delle correnti marine, a deformazioni macroscopiche, dello stesso ordine di grandezza di quelle di un ponte sospeso sulla stessa luce libera; inoltre le variazioni di peso nel tempo devono sicuramente essere compensate mediante meccanismi di pompaggio di precisione sul cui sicuro funzionamento possono essere avanzate perplessità.

La soluzione alternativa proposta è perciò ancora quella della travata tubolare disposta nel piano verticale ad arco di cerchio ad attraversamento dello stretto a mezz’acqua, ma provvista di un numero discreto di appoggi intermedi; pur sempre in regime di quasi perfetta sospensione, intervenendo i vari appoggi prevalentemente alla sopportazione dei carichi accidentali, della spinta delle correnti e del peso delle incrostazioni marine.

Con ciò le deformazioni sotto carico sono ricondotte a valori accettabili; le sollecitazioni nella condotta diminuiscono drasticamente; si riducono i quantitativo dei materiali strutturali necessari.
Gli appoggi intermedi, rispetto a quelli di un eventuale ponte a più campate, risultano ben meno impegnati sotto il profilo statico e decisamente meno impegnativi sotto l’aspetto costruttivo, essendo la loro altezza sul fondo dell’ordine di soli 50 – 60 m. Essi possono, come soluzione probabilmente ottimale, essere conformati a piattaforma marina a gravità, in cemento armato o in acciaio-calcestruzzo; con ampia base sul fondo e colonne di sostegno della sella di appoggio alla struttura tubolare del ponte; con grado di stabilità agli effetti sismici certamente maggiore (data la loro modesta altezza) che qualsivoglia pila intermedia in alveo di ponti sospesi o strallati.

La travata tubolare continua, su sostegni amplissimamente distanziati, data la sua snellezza, presenta un’adattabilità senza danno a cedimenti differenziali degli appoggi, anche cospicui.
Gli stessi moti sismici sussultori o ondulatori hanno su di essa effetti ridotti in virtù della bassa frequenza propria della struttura rispetto alla frequenza dominante dei sismi.

Per quanto riguarda la struttura e la tecnologia della costruzione si prevede una travata tubolare costituita da due gusci metallici concentrici, con intercapedine riempita di calcestruzzo armato, tanto robusta e di tale massa da escludere il rischio di essere danneggiata da urto e affondamento di natanti, o esplosione di bomba.

Riassumendo infine i pregi già messi in evidenza in via comparativa ed originale:

1) Nessun impedimento in superficie alla navigazione sullo stretto, se non nell’immediata vicinanza delle sponde; nessun impedimento alla navigazione aerea, che nel caso di ponte sospeso vedrebbe l’aeroporto di Reggio Calabria seriamente compromesso da strutture in elevazione svettanti per centinaia di metri.

2) Collocamento dell’attraversamento in posizione non strettamente vincolata.

3) Accessi praticamente a raso, di minimo disturbo; l’immagine paesaggistica rimane inalterata.

4) Riduzioni al massimo del rischio sismico.

5) Variazioni ed effetti termici ridotti al minimo.

6) Robustezza, durabilità, minima necessità di manutenzione.

7) Minimo costo degli accessi.

8) Materiali da costruzione tutti di produzione nazionale; tecniche costruttive accessibili alla competenza delle forse imprenditrici italiane.

Per la prefabbricazione dei gusci metallici i nostri cantieri navali acquisterebbero la “ideale commessa”; per le strutture in cemento armato e cemento armato precompresso, i cementifici e le acciaierie sarebbero impegnati nelle forniture più pertinenti alle loro vocazioni; ne’ mancherebbero per la formazione degli appoggi i mezzi marini di società specializzate in lavori portuali o di ricerca petrolifera attualmente impegnata in tante parti del mondo.

In definitiva può dirsi che gli imprenditori sarebbero chiamati a costruire un ponte in calcestruzzo: un ponte sommerso.

La soluzione che si propone con il presente documento non è certo una “idea” estemporanea maturata in laboratorio, ma già sperimentata largamente, sia sotto il profilo della costruzione che della messa in opera e della funzionalità.
“Tunnel sommersi” risultano realizzati in diverse parti del mondo, pur se va avvertito che opere del genere presentano caratteristiche strutturali molto diversificate in relazione alla situazione dei luoghi e dei fenomeni che li interessano.
Ovviamente del tutto peculiare appare la realizzazione di tale opera nello Stretto di Messina per cui lo studio di fattibilità indurrà a quegli adeguamenti specifici che risulteranno possibili sulla base di dati ed informazioni che occorre acquisire.

Clicca qui per un piccolo estratto della pubblicazione "Il ponte sommerso".

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