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venerdì 5 ottobre 2007

UNA IMPORTANTE SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Fonte "la Repubblica.it"

La Cassazione conferma la condanna a tre imprenditori per comportamenti prevaricatori verso quattro lavoratrici "in nero" non tutelate, sottopagate e tenute sotto ricatto

E' estorsione sfruttare i dipendenti
il datore di lavoro rischia il carcere


ROMA - Tenere i dipendenti "in nero" (senza contratto di lavoro, con salari bassissimi e nessun diritto) e sfruttarli con la costante minaccia di sbatterli fuori e di rimpiazzarli col primo disoccupato che passa se non acconsentono alle condizioni imposte è estorsione. E sono previste pene severissime, incluso il carcere, per gli imprenditori che, sfruttando "la situazione di mercato in cui la domanda di lavoro è di gran lunga superiore all'offerta", assumono "comportamenti prevaricatori" nei confronti dei dipendenti. Lo sancisce la Cassazione confermando la condanna per estorsione aggravata e continuata (tre anni, sei mesi di reclusione e 800 euro di multa ciascuno) nei confronti di tre datori di lavoro di due aziende, Gaetano e Maurizio L. e Andreina L., colpevoli di avere appunto tenuto "comportamenti prevaricatori in costante spregio dei diritti" di quattro lavoratrici.

In particolare, ricostruisce la sentenza 36642 della Seconda sezione penale, nelle due società dei tre
imprenditori, le dipendenti - tutte donne - erano costrette ad "accettare trattamenti retributivi deteriori non corrispondenti alle prestazioni effettuate", subivano "condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti", non godevano di ferie, lo straordinario non veniva pagato, niente assistenza assicurativa.

Nel migliore dei casi alle lavoratrici veniva corrisposta la paga prevista dai contratti di formazione lavoro, sebbene lavorassero per molte più ore. Il tutto in un clima nel quale i datori "ponevano le dipendenti in una situazione di condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie equivaleva a perdere il posto per via di una situazione in cui la domanda di lavoro superava di gran lunga l'offerta".

In particolare, le lavoratrici dipendenti non avevano usufruito di ferie o non erano state pagate per gli straordinari e inoltre firmavano prospetti-paga indicanti importi superiori a quelli percepiti. Una dipendente, inoltre, era stata indotta a sottoscrivere un contratto di associazione in partecipazione, senza che la sua qualità fosse mutata, nonché costretta a mentire sulla propria posizione agli ispettori del lavoro, oltre che a firmare una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilità, con il fidanzato, di un furto di capi di abbigliamento subiti dall'azienda.

Nonostante tutte queste prevaricazioni, il tribunale di Nuoro, nel novembre 2000, aveva assolto con formula piena i tre datori di lavoro, poi condannati nel gennaio 2003 dalla Corte d'appello di Sassari che aveva accertato che le dipendenti erano state assunte senza libretto di lavoro, non avendo ricevuto copertura assicurativa, tranne una e per breve periodo. Il tutto era emerso in seguito alle ispezioni dell'Ispettorato del lavoro di Nuoro e proprio in questa circostanza, ricostruisce la sentenza della Cassazione, una dipendente era stata costretta ad allontanarsi dal posto di lavoro dietro la minaccia di perdere il posto.

Inutilmente i tre datori di lavoro hanno tentato di attenuare le loro responsabilità, cercando di evitare il carcere e chiedendo di ricevere solo le sanzioni previste per chi tiene dipendenti non in regola. Quello che abbiamo fatto, hanno detto a piazza Cavour, "costituisce espressione del non eccezionale fenomeno del lavoro nero, ma non integrerebbe gli estremi dell'estorsione perché le lavoratrici avevano accettato quelle condizioni senza ricorso ad alcuna violenza". Ma per la Cassazione "l'accettazione di quelle condizioni non fu libera perché condizionata dall'assenza di altre possibilità di lavoro".

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